Fase 2,
tra paura e desiderio.
Ripartire, ricominciare, ricostruire.
Dicono che sia come un dopoguerra senza bombe ma non siamo abituati, quasi nessuno di noi, a vivere questo tipo di situazioni, in Italia, da oltre 70 anni. Eppure sono situazioni cicliche, nella storia dell’uomo, quindi abbiamo nel DNA qualcosa che ci spinge a rimettere fuori dalla porta la nostra voglia di fare che si unisce però a una buona dose di resistenza.
Potremmo chiamarla più semplicemente “paura“, un’emozione che ci ha sempre accompagnato nel corso della storia. Anzi, un’emozione che ci ha sempre salvato, a ben guardare. Ci salva nella quotidianità, quando se non la provassimo prenderemmo una pentola bollente a mani nude e ci salva in situazioni più inedite, come questa del Coronavirus: se è q.b., come nelle ricette, “quanto basta”, ci permette di mettere in campo tutto quello che ci occorre per sentirci al sicuro tanto da poter agire ma non abbastanza al sicuro da farci abbassare la guardia e commettere imprudenze. Se è troppa no, diventa fobia e ci paralizza. Se è troppo poca no, diventa incoscienza e ci mette in pericolo.
Non esistono emozioni buone ed emozioni cattive, emozioni positive ed emozioni negative. La paura ha lo stesso valore della felicità. E’ prima accettandola, e poi gestendola, che la rendiamo utile e indispensabile nella nostra vita.
Non potrei mai dire ad un paziente “Dopo il percorso psicologico lei non avrà più queste sue paure” ma potrò dirgli qualcosa di più profondo e duraturo: “Insieme faremo un percorso per aiutarla a riconoscere la paura e fronteggiarla”.
Perché la paura di ripartire ci salva, né più né meno del desiderio. Basta prendersene cura.
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